Chiamatelo come volete: combattimento, attività sociale, rito religioso o sabungan…
Per me rimane, qui a Bali, la guerra dei galli.
E’ un’istituzione che, anche se non ammessa ufficialmente, è altamente tollerata.
Wayan, il mio vicino di casa, come tanti altri Wayan del mio quartiere, è fiero di praticare
questo “sport”. Lo vedo al mattino presto, andando in ufficio: gli passo accanto mentre
accarezza uno dei suoi galli, lo coccola amorevolmente e conversa con lui. Incrocio il suo sguardo mentre gli massaggia le zampe, per potenziargli i muscoli delle “cosce”, lo seguo con gli occhi mentre lo ripone nella cupola fatta con strati flessibili ma resistenti di pregiato bambù.
“Devono essere ben protetti”, mi dice.
Guardo la fila di quelle piccole gabbie che mi sembrano più prigioni utili a non farli scappare e mi chiedo se siano tanto piccole per renderli eccitati e aggressivi quando ne fuoriescono…
I galli combattono, si sfidano, vincono e perdono. Vivono e muoiono.
Le loro gesta riuniscono gruppi piccoli e grandi, rigorosamente composti da soli uomini:
diventano pretesto per riunirli e caricarli di energia, per rinsaldare legami, per farsi valere davanti alla comunità.
In che modo possono farsi valere?
Guadagnando rispetto e denaro.
Come attuano questi propositi?
Allenando i loro galli con costanza e scommettendo su di loro.
Per Wayan, soccombere non vuol dire solo rimetterci dei soldi, significa essere umiliato pubblicamente, perdere la faccia davanti alla comunità, essere punto nel proprio orgoglio.
All’orgoglio, come alla dignità, viene data un’importanza primaria, qui a Bali. Non si deve pensare che dietro quell’attitudine cordiale e sorridente degli abitanti si nasconda un carattere debole. Non è così.
Cosa rappresenta il gallo?
Il gallo diventa il tramite per esprimere la propria virilità e per placare le proprie passioni sopite. Nella vita di tutti giorni Wayan cerca di mantenere l’autocontrollo, ma nell’arena si può lasciare andare, tifando sfrontatamente per tenere viva la lotta, mostrando un lato di sé non concesso altrove.
In fondo il gallo è l’emblema della cultura balinese, dove per trovare l’armonia occorre soddisfare tutte le forze, quelle del male e quelle del bene. Le forze occulte, chiamate Niskala, non si vedono ma si fanno sentire spesso, mentre quelle visibili, denominate Sekala, fanno parte del quotidiano.
I vari Wayan del quartiere si identificano con il gallo, il loro amato gallo. Gli dedicano attenzioni infinite, credetemi. Mi spingo a dire che molti di loro non dedicano le stesse attenzioni alle loro mogli e lo dico con cognizione di causa, sperando di non sollevare un vespaio.
Le mogli solitamente non approvano: non solo per il tempo che viene loro rubato dal re del
pollaio, ma per il gioco d’azzardo che ne consegue.
I giocatori si indebitano: buttano sul piatto i loro soldi, poi i motorini, fino ad arrivare a giocarsi le case, a spogliarsi di tutto. È un serio problema per molte famiglie, insieme al gioco d’azzardo.
Bali e la guerra dei galli: le armi
Le armi imposte ai galli per la loro battaglia sono lame di metallo chiamate taji, finemente affilate durante le notti di luna piena.
Scesi nell’arena i galli hanno un solo obiettivo: far cadere l’avversario.
A volte latitano, sembrano consapevoli di quel che potrebbe accadergli: in quel frangente i proprietari li incalzano infastiditi, incoraggiandoli.
Gli altri spettatori scommettono, ridono, urlano esultano o si disperano: l’atmosfera intorno si surriscalda.
La scena
Al centro dell’arena eccoli, i poveri galli. In pochi secondi o pochi minuti si decide la loro sorte.
Un contendente stramazza a terra, tra chiazze di sangue rosso vivo che dovrebbero placare i demoni, saziandoli, a quel punto il vincitore viene preso per le ali dal suo padrone, che si sente un re, applaudito e rispettato da tutti i presenti.
Può accadere che il gallo sia ferito ma continui a combattere valorosamente e l’arbitro decida di fare una pausa, per riprendere in un secondo momento.
Oppure capita che siano feriti entrambi e nessuno soccomba al rivale: allora vengono rinchiusi in una gabbia dove, prima o poi, uno dei due verrà colto da morte certa.
L’epilogo
L’epilogo è uno solo: il combattente morto verrà macellato mentre quello sopravvissuto sarà destinato ad affrontare una nuova battaglia, un altro giorno della sua vita, fino a che non cadrà sotto i colpi dell’avversario, inevitabilmente.
Il destino del gallo è tragicamente segnato.